PROGETTO “ ARCHITETTURA “.
COMPLESSO MONUMENTALE CARCERE BORBONICO DI AVELLINO
“ Scendere col Pensiero in un mondo sotterraneo, in un luogo che ad ogni passo rivela la sua profondità è anche scendere in noi stessi “.
Gaston Bachelard
Il progetto espositivo ispirato all’ Architettura presenta al pubblico un percorso di ricerca dipanato in un labirintico cammino di attraversamento dei quattro ambienti di disimpegno e di interconnessione delle restanti sale espositive, del Complesso monumentale.
Il pubblico attraverserà quattro “Teatri della Memoria” , abitati da: forme, simboli , segni e suoni che raccontano di un vero e proprio “viaggio”, in uno spazio e in un tempo mai oggettivamente definiti , nei quali si incontrano i quattro elementi della natura, ovvero Terra, Acqua, Aria e Fuoco, ma anche presenze simboliche e rimandi magici come nel gioco dei Tarocchi della” Architettura letteraria “ de :“Il Castello dei destini incrociati” di Italo Calvino, nonché del viaggio nel tempo attraverso il percorso parallelo agli elementi con le musiche del “ Flauto Magico”, di W. A. Mozart.
In tal senso intendo far compiere un percorso di passaggio dal caos delle tenebre e del mondo umbratile e sotterraneo a quello luminoso ed armonico che, a mio avviso si compie nella “ Opera architettonica “ ,compiuta in tutte le sue parti, che si da in Luce solo alla fine di un iter complesso e dopo un graduale e costante percorso di ricerca e di sintesi, simile a quello dell’ eroe Tamino, Protagonista della succitata opera mozartiana, che arrivera’ ad ottenere la sua Luce, Tamina, solo alla fine di un tortuoso percorso proprio attraverso simboli dei quattro elementi .
Questa mia idea muove i primi passi dall’ osservazione dello spazio labirintico del Carcere Borbonico che si ricollega, nella mia memoria, anche alla utopica Architettura de “ Le Carceri”, di Gian Battista Piranesi.
“Architetture” entrambi, attraverso le quali, seppur da punti di vista diversi, gli uomini si sono imbattuti nel conflitto perenne tra ombre e luci per la ricerca di un passaggio da una condizione di sofferenza e di” espiazione” verso la purificazione e l ‘ armonia dello spirito e delle forme quindi, come nel caso dell’ Architettura.
Come nel mondo sotterraneo e caotico dove questo artista, attraverso le sue splendide incisioni, ha cercato, attraverso la forza contrapposta dei contrasti, la luce , cosi’ l’ Architettura, regina indiscussa delle arti figurative , diventa metafora di ricerca del bello e dell’ armonia attraverso il labirintico percorso di perfezionamento graduale dell’ Architetto, metafora quindi della ricerca del sè da parte dell’ individuo .
Intendo personalmente percorrere e far percorrere al visitatore un viaggio attraverso i quattro elementi della natura per stimolare l’ “Architetto” che e’ in ognuno di noi a cercare l’ armonia attraverso gli orientamenti delle opere e delle installazioni .
Gennaro Vallifuoco.
Gennaro Vallifuoco tra alchimie, tarocchi e triangoli. L’arte di un narratore che rincorre segreti di terra.
La Pittura è compagna di strada degli inquieti cercatori di verità. Perché è come la vita: passa di differenza in differenza. Aveva ragione Giordano Bruno a sostenere che il filosofo e il pittore lavorano sulle ombre e costruiscono i loro processi a partire dalle ombre.
Perciò i pittori sono filosofi e i filosofi sono pittori. Ma la soglia dell’ombra, quella terra umana e troppo umana tra il ni-ente del tempo e il nulla dell’eterno, è anche materia per raccontare una vita, è bisogno di andare al di là di ogni possibile barriera e di ogni ultima costa esplorata. Pittura e parola insieme, a raccontare movimento, prospettive ariose e sentieri di luce.
Conosco Gennaro Vallifuoco da una vita. Portiamo nel cuore il verde della nostra Irpinia e curiamo segreti di pietre che scheggiano luce alle strade delle scelte.
La sua Pittura ha gli stessi occhi dell’artista: si sgrana sorpresa, riflessiva o sorridente, a dipingere altri significati, fa compagnia quando obbliga a spostare confini e certezze.
Quando era ancora un ragazzo, vedevo giocare Gennaro con i colori, come fanno gli sciamani con i loro venti che portano voci lontane. Coltivava una ‘curiositas’ che era annuncio di un destino, i Tarocchi della sua pittura-parola, logos e polemos, perché nasce sempre da una lotta del cuore.
Come quelle carte che la vecchia madre cieca tirava fuori dal suo pensante cassetto di legno, dolcissima e mai stanca, avvolta nello scialle di mille ricordi. Un ‘tiraturo’ di saggezza, perché quella donna gli ha insegnato a vedere lontano, ad assaporare la vita, a cogliere l’attimo del colore e la forza del segno.
Vallifuoco ha rincorso quelle carte della memoria, le ha dipinte perché abitano il suo petto di viandante, hanno il sale delle sue attese e la voglia di cercare oltre l’incompiuto. Passi essenziali in un mondo popolato di santi e campanili, ianare e puttane, in viaggio come Talete a scoprire i segreti di Aria, Acqua, Terra e Fuoco. I quadrati di Vallifuoco sono un omaggio a Joseph Albers, l’artista della Bauhaus. Ma ci sono anche i triangoli della stella di Salomone, che conquistarono Templari e viandanti di senso.
Pittura di soglia e di attese, di labirinti di antiche sapienze e di pensieri eretici, che scavalcano lunghe ombre. Colore che spezza dai cerchi dell’isolamento, e spinge a stanare parole perdute. Rincorre speranza, come in ‘Aria’, opera che ruba l’occhio con la forza di segni che raccontano umanità tra le pietre di Templi aperti che hanno come tetto il Sole. Un viaggio tra le rovine, guidati dal leone verde, per cogliere ciò che resta. Perché la speranza – quella del ‘Tarocco dell’Acqua’, dove un angelo versa fluidi di Vita – è più forte delle ferite che bruciano la carne aperta. E il dialogo è il custode solitario delle ultime terre.
Il segreto di questo pittore dell’anima e sceneggiatore delle storie di dentro, che si diverte spesso a fare ‘l’apparatore’ di scene, è conciliare mente e mano, perché la mano è organo degli organi secondo la lezione di Giordano Bruno. Un alchimista, Vallifuoco: lavora a specchio con la verità che gli danza nel cuore, gioca con il tratto sicuro del pennello, mettendo al centro volti, figure e segni. Sono sempre storie profonde: danzano su spazi smarriti o inquieti, graffiano verità o le hanno perse ai crocicchi delle scelte. La tavolozza torna a raccontare donne che conoscono la vita, ‘appesi’ e ‘bendati’ che invitano a leggere nelle tavole di carne, ascoltando necessarie bestemmie di ribelli.
Torri e scale, cerchi magici e ruote della memoria, tratti sapienziali racchiusi nel verde plastico o nel blu intenso, squamato e fluido, con il triangolo che diventa cifra di una verità da strappare o un luogo trafitto da altre condanne. Pittura alchemica dove i colori continueranno a stare sulla traccia del cerchio che reca un punto nel centro, a scuola della pietra marbyll, quella che non teme il fuoco. Le sue tavolozze conoscono il numero 7, quello che nella tradizione è il numero del maestro. Perché come per gli Iniziati, far sorgere il Sole tra i frammenti è un antico dovere dell’Artista.
Le opere di Vallifuoco riempiono le scene di percorsi tenuti controvento in compagnia di un amico prezioso: il dubbio. Viaggiamo tra silenzi e parole, con le mani aperte al futuro. Topoi dell’identità e della memoria, ma anche laboratori di pensiero libero contro la miopia del calcolo personale, con la tela che chiede di andare oltre il già-dato per cercare un senso tra le strade della differenza. C’è un Delta da scoprire, cogliendo radici o alzando preghiere e formule verso pietre infrante. Vallifuoco non è solo un narratore del Sud e delle sue magie: è un costruttore che sa intagliare formule comunitarie tra il pavimento a scacchi del tempo. Allarga le narici sotto i capelli ricci, e sente gli elementi. Come il sophos che nella Grecia arcaica era l’assaggiatore di odori e di sapori, l’esperto nel distinguere e valutare le qualità degli alimenti, esercitato al giudizio. Solo chi ama la verità, può cercarla continuamente. E non bisogna averne paura. In un passaggio di un dialogo del libro Piccolo Teatro Filosofico, di Aldo Masullo, Eraclìto l’Oscuro dice all’orologiaio: “Non aver paura di perdere tempo in un discorso che non è di affari: in ogni caso non perdi tu il tempo, ma il tempo perde te. Del resto per la tua vita, sta sicuro, un passo avanti nel capire come stanno le cose è assai più prezioso di qualche dracma in più in cassa”.
Vallifuoco ci indica che gli alberi morti non danno riparo: occorre saper ascoltare e decidersi per la cerca della Bellezza. Pensiero della raccolta dell’Esserci, dopo il silenzio. Grund e telos. Segni di confine, per andare oltre. L’artista sa che occorre dare forza a nuove idee, ma anche essere scomodi. Inquietare. Sovvertire. La Pittura a questo tende: a dare colore a un attimo, a un repentino da cogliere pur nell’infinita topologia di ricerche ineguali e di storie mai chiuse. Perché alla fine si viaggia dentro se stessi. E i ricordi sono una donna di porto che ci lascia con un gioco di carne e amarezze. O sono un camino di pietra che sa parlarci del tempo che abbiamo perso inseguendo sempre sogni. Anche la sua Pittura è un’isola nella memoria del vento. Parola-segno che sa farsi logos quando impagina percorsi ma a volte diventa fabula, e gioca con i giorni. Speranza contro paura. Ancora una volta la Pittura apre gli occhi. E rimette l’Uomo in piedi.
Forse le nostre scommesse le abbiamo perse o c’è ancora un tratto di cuore per cui tenerci vivi. Pur sapendo che tutto perisce, dobbiamo costruire nel granito dell’arte libera le nostre dimore, fossero anche quelle di una notte. Portiamo nel sacco di iuta che calziamo in spalla i tratti a carbone di Gennaro Vallifuoco e un verso di Giuseppe Antonello Leone: “Ci vedremo sulla piazza quest’inverno, quando l’ultima tela sarà nel tuo vento”.
Giornalista e scrittore Gerardo Picardo